La decima sezione del Tribunale Penale di Milano, in composizione monocratica, ha cercato di chiarire la portata dell’art. 595, comma terzo, c.p. alla luce degli odierni strumenti di comunicazione sempre più evoluti.
Nello specifico si è pronunciata sulla possibilità di integrare il delitto di diffamazione aggravata attraverso l’utilizzo della e-mail.
Il terzo comma dell’art. 595 dispone testualmente che: “Se l’offesa è recata con il mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad €516”.
Sul punto la dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell’affermare che la stampa e la pubblicità devono essere intese come mezzi che per loro natura sono destinati a raggiungere un cospicuo e indeterminato numero di destinatari; sono, a tal fine, mezzi idonei ad integrare l’aggravante in parola le trasmissioni radiotelevisive, i manifesti affissi in luoghi pubblici o i discorsi nella pubblica piazza.
Diverso è il discorso relativo alla e – mail che deve essere equiparata alle comunicazioni scritte, come le lettere, il telegramma o il fax.
Non si deve commettere l’errore di equiparare la mail alla radio, per esempio, per il solo fatto che con tale strumento è possibile raggiungere facilmente e con un semplice click un numero vasto ma comunque determinato di destinatari.
Integra, invece, il delitto di diffamazione aggravata la diffusione di un messaggio utilizzando la bacheca di un account Facebook, perché diversamente dalla mail può essere visualizzato da un numero indeterminato di persone, rinviando al caso specifico l’ipotesi che l’autore del messaggio diffamatorio abbia indicato una ristretta cerchia di persone quali possibili visualizzatori del post.