Cassazione Penale sospensione condizionale della pena
1. La vicenda giudiziaria e la questione di diritto. – Con la pronuncia in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto la controversa questione (qui l’ordinanza di rimessione) relativa all’individuazione del termine entro cui il condannato debba adempiere all’obbligo risarcitorio cui sia stata subordinata la concessione in suo favore del beneficio della sospensione condizionale della pena, allorquando detto termine non sia stato fissato giudizialmente, in contrasto con il dettato dell’art. 165 c.p.
Nel caso di specie, il Tribunale di Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, revocava il beneficio della sospensione condizionale della pena precedentemente concesso al condannato, essendo egli risultato inadempiente agli obblighi risarcitori disposti in favore della parte civile, cui risultava condizionato il beneficio della sospensione condizionale della pena, pur in assenza della fissazione giudiziale di un termine per il relativo adempimento.
Il giudice dell’esecuzione muoveva dal presupposto secondo cui, difettando un’espressa indicazione giudiziale, il termine di adempimento degli obblighi risarcitori dovesse essere individuato nel momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna a pena sospesa.
Pertanto, essendo la sentenza divenuta irrevocabile e non risultando elementi utili a provare la sussistenza di una causa scriminante l’inadempimento degli obblighi risarcitori, risultava integrata una delle ipotesi di revoca di diritto della sospensione condizionale della pena di cui all’art. 168, n. 1, c.p.
Ricorreva per cassazione la difesa del condannato che, richiamando alcuni principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, sosteneva l’erroneità del provvedimento di revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Anzitutto, la difesa asseriva che, in caso di omessa fissazione giudiziale, il termine per l’adempimento andrebbe a coincidere con quello di cinque o due anni previsto dall’art. 163 c.p., non potendo diversamente operare le ordinarie regole civilistiche sull’immediata esigibilità delle prestazioni per cui non sia stato fissato un termine, regole che risulterebbero derogate proprio dal dettato dell’art. 165 c.p.
Conseguentemente, non essendo ancora decorso il suddetto termine, il giudice avrebbe dovuto, in luogo della revoca, adottare un provvedimento con cui assegnava al condannato un termine per adempiere.
La difesa lamentava, inoltre, l’omessa verifica delle concrete possibilità di adempiere del condannato, che risultava invero essere percettore di entrate di entità così modica da fondare un’assoluta impossibilità di adempiere, rilevante come fattore ostativo alla revoca del beneficio.
La Prima Sezione Penale, rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in relazione al primo motivo di ricorso, rimetteva alle Sezioni Unite la seguente questione: «se, in caso di sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di un obbligo, il termine entro il quale l’imputato deve provvedere all’adempimento, qualora non sia stato già fissato in sentenza, coincida con quello del passaggio in giudicato della stessa o con quello previsto dall’art. 163 c.p.».
2. Le conseguenze della mancata fissazione giudiziale del termine di adempimento degli obblighi condizionanti: due gli indirizzi interpretativi. – Secondo il primo indirizzo giurisprudenziale richiamato, l’obbligazione risarcitoria cui sia stata subordinata la concessione del beneficio andrebbe qualificata come obbligazione pecuniaria immediatamente esigibile, di talché il termine per il suo adempimento dovrebbe individuarsi in relazione alla natura e al contenuto specifico dell’obbligazione stessa. Ai sensi dell’art. 1183, co. 1, c.c., detto termine andrebbe a coincidere con il momento del passaggio in giudicato della sentenza[1]. Oltre a ciò, la disciplina dell’inadempimento andrebbe mutuata dalla disciplina codicistica di cui all’art. 1218 c.c., sicché la revoca del beneficio andrebbe esclusa in caso di impossibilità assoluta della prestazione derivante da causa non imputabile al condannato, causa di cui lo stesso potrebbe fornire prova in occasione del momento procedimentale previsto dall’art. 674 c.p.p. (udienza camerale di revoca del beneficio).
Per il secondo orientamento, invece, nel caso di omessa fissazione giudiziale del termine, dovrebbe applicarsi agli obblighi risarcitori lo stesso termine legislativamente previsto per la valutazione di meritevolezza del condannato al godimento del beneficio (termine pari, ai sensi dell’art. 163 c.p., a cinque anni per i delitti, due anni per le contravvenzioni)[2].
3. Il beneficio della sospensione condizionale della pena. – Preliminarmente, le Sezioni Unite ricostruiscono l’evoluzione legislativa della sospensione condizionale della pena[3].
Nata come istituto di carattere processuale (c.d. “condanna condizionale”) rispondente alla ratio di sottrarre all’ambiente rovinoso del carcere e ai suoi effetti criminogeni e disfunzionali chi non avesse ancora conosciuto l’esperienza detentiva[4], la sospensione condizionale della pena fu attratta nel novero degli strumenti di diritto sostanziale con l’entrata in vigore del codice Rocco del 1930.
La sospensione condizionale della pena si qualificò, dunque, come una delle prime misure in senso latoalternative alla detenzione, per tale intendendosi quelle risposte sanzionatorie variamente alternative per contenuto e struttura alla privazione della libertà realizzata nelle forme della restrizione carceraria[5].
Orientata al fine di ridurre il fenomeno della carcerazione di breve (o brevissima) durata, il beneficio assume, secondo la ricostruzione dottrinale prevalente, una duplice funzione: da un lato, è negativamente volto ad evitare l’esecuzione della pena, dall’altro, pur risultando uno strumento alternativo al carcere, conserva una positiva portata sanzionatoria[6].
La sospensione condizionale della pena è applicata contestualmente alla pronuncia della sentenza di condanna (fase c.d. decisoria) e sospende l’esecuzione delle pene principali e accessorie, per un periodo di durata pari a due anni, nel caso di contravvenzione, o a cinque anni, nel caso di delitto.
L’effetto estintivo che può conseguire alla concessione del beneficio in commento consegue, tuttavia, non all’applicazione della misura, ma al positivo superamento della prova cui il condannato è ammesso.
Il condannato dovrà, infatti, astenersi dal commettere ulteriori reati della stessa indole di quello per cui sia già intervenuta un’affermazione di responsabilità, risultando altresì obbligato ad adempiere all’eventuali prescrizioni cui sia stata subordinata la concessione del beneficio.
Tradizionalmente, al condannato potevano essere imposte prescrizioni attinenti alle restituzioni e al pagamento del risarcimento del danno, essendo altresì possibile per il giudice disporre la pubblicazione della sentenza di condanna a pena sospesa a titolo di riparazione del danno. Tanto valeva – ricorda la Corte – anche in relazione alla già citata figura della condanna condizionale, eccezion fatta per la previsione della pubblicazione della sentenza di condanna, non contemplata, mentre ammissibile era la condanna al pagamento delle spese del procedimento.
Se il nucleo essenziale della disciplina della sospensione condizionale della pena è rimasto nel tempo immutato, svariati sono stati gli interventi legislativi che hanno inciso sul beneficio, novellando, in particolare, la disposizione di cui all’art. 165 c.p. tramite la previsione di ulteriori obblighi all’adempimento dei quali subordinare la concessione della misura de qua. Si pensi alle previsioni legislative più recenti che hanno ammesso la subordinazione della concessione del beneficio all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato (l. n. 689/1981) ovvero alla prestazione di attività non retribuita in favore della collettività, sempre che il condannato non vi si opponga (l. n. 145/2004)[7].
In tal modo, la disciplina della sospensione condizionale si è arricchita di contenuti specialpreventivi, venendo a consistere, quantomeno per taluni condannati, in un programma di prescrizioni cui il soggetto è obbligato se vuole ottenere l’effetto estintivo[8]. In dottrina si è parlato in proposito di sospensione condizionale con obblighi o “con prova[9]”, come modello contrapposto a quello della sospensione condizionale “secca”, concessa senza che il condannato sia vincolato all’adempimento di particolari obblighi.
Il modello di sospensione condizionale con obblighi è l’unico applicabile ai condannati che abbiano già usufruito una prima volta della sospensione condizionale. Sempre che il cumulo delle pene loro inflitte si mantenga al di sotto delle soglie dettate per la concessione della misura dall’art. 163 c.p., tali soggetti saranno necessariamente tenuti ad adempiere ad uno degli obblighi di cui al co. 1 dell’art. 165 c.p.
Analoga regola trova applicazione anche in altri casi di subordinazione obbligatoria, che la Corte pure ripercorre. Si tratta di casi di conio più recente, relativi a condanne intervenute per alcuni reati contro la pubblica amministrazione (di cui agli artt. 314, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater, 320, 321 e 322 bis c.p.), per il reato di furto in abitazione e furto con strappo (art. 624 bis c.p.), nonché relativamente ad una serie reati espressivi di violenza domestica o di genere.
Fuori dai casi di subordinazione obbligatoria, la tendenza registratasi nella prassi applicativa è quella della rinuncia all’esercizio dei poteri discrezionali attribuiti al giudice quanto alla definizione del contenuto prescrizionale della misura. Si è così di fatto delineato come modello prevalente quello della sospensione condizionale “secca” che, pur svuotato di contenuti risocializzanti[10], ha avuto un ottimo riscontro applicativo al punto che la sospensione condizionale è stata definita in dottrina come causa di desuetudine di altre misure in senso lato alternative alla detenzione, pur previste dal nostro ordinamento (i.e. le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi[11]).
4. La soluzione offerta dalle Sezioni Unite. – Tornando alla decisione in commento, nel risolvere il contrasto portato alla loro attenzione, le Sezioni Unite muovono dalla definizione della funzione del termine per l’adempimento degli obblighi cui sia stata subordinata la concessione della sospensione condizionale della pena.
L’evoluzione storica dell’istituto e l’interpretazione letterale dell’art. 165 c.p., inducono la Corte a ritenere che il termine giochi un ruolo essenziale all’interno della fattispecie. Gli obblighi imposti al condannato a pena sospesa, infatti, sono obblighi condizionanti, potendo essi incidere sulla revoca del beneficio, sia nel caso in cui costituiscano elemento accessorio della fattispecie, sia quando la completino.
Ne consegue la necessità che essi siano concretamente esigibili non prima che sia decorso un certo termine dal momento in cui sono imposti al condannato, in ossequio al principio di proporzionalità che orienta l’intero sistema penale.
Pertanto, il termine per l’adempimento non potrebbe coincidere con quello del passaggio in giudicato della sentenza, dal momento che ciò comporterebbe la sovrapposizione tra il dies a quo e il dies ad quem, così svalutando la lettera legis che impone invece la fissazione di un termine di adempimento diverso da quello iniziale, a meno di voler ammettere che tale termine possa iniziare a decorrere ante iudicatum, in chiaro contrasto con la presunzione assoluta di non colpevolezza.
La centralità del termine per l’adempimento degli obblighi condizionanti si ricava anche dalla circostanza che detti obblighi connotano in funzione special-preventiva la sospensione condizionale della pena, garantendo l’adesione del condannato ad un percorso di ravvedimento in cui si individua lo «scopo precipuo dell’istituto stesso» (cfr. Corte cost., sentenza n. 49//1975).
Il rapporto cui tali obblighi si collegano deve, pertanto, qualificarsi non già come rapporto di diritto privato, bensì come rapporto di diritto pubblico, intercorrente tra condannato e giustizia penale.
La concezione penalistica del termine di cui all’art. 165 c.p. giustifica, quindi, il rigetto dell’orientamento che ne sosteneva l’individuabilità in relazione alla natura e alla specie degli obblighi imposti, con conseguente affermazione dell’applicabilità delle regole civilistiche nel caso di coincidenza tra obblighi condizionanti e obbligazione civile derivante da reato.
Si osserva quindi che, se da un lato una lettura più attenta dell’art. 1183, co. 1, c.c. – interpretato alla luce del principio di buona fede e correttezza –, avrebbe comunque dovuto condurre a sostenere la concedibilità in favore del condannato di un termine di adempimento, ancorché esiguo, dall’altro, la natura penalistica di tale termine depone in sfavore dell’applicabilità della regola civilistica del quod sine die debetur, statim debetur, quale che sia la sua interpretazione più corretta.
D’altro canto, la Corte critica anche il secondo orientamento sopra richiamato secondo cui, in caso di mancata fissazione giudiziale, il termine di adempimento andrebbe a coincidere con quello di cui all’art. 163 c.p.
Difatti, detti termini rispondono a due distinte finalità. Quello di cui all’art. 163 c.p. è un termine legale ed indica il tempo concesso al condannato per confermare l’esito positivo del giudizio prognostico compiuto dal giudice al momento della concessione della misura. Diversamente, il termine di cui all’art. 165 c.p. è un termine giudiziale, utile a definire il trattamento special-preventivo riservato al condannato a pena sospesa così che possa tenere comportamenti sintomatici di una maggiore socialità.
L’affermazione della coincidenza dei due termini svaluta il ruolo che il termine di cui all’art. 165 c.p. assume nel sistema, data la sua rilevanza nel concorrere a definire la finalità special-preventiva che connota il beneficio.
Oltre a ciò, le Sezioni Unite osservano come il secondo indirizzo interpretativo si fondi su un erroneo presupposto: si postula la subordinazione dell’estinzione del reato all’adempimento degli obblighi condizionanti, nella specie dell’obbligo risarcitorio, mentre è la sospensione condizionale ad essere subordinata a detti obblighi, come se fosse ad essa apposta una clausola risolutiva.
Il termine di adempimento deve quindi essere espressamente individuato dal giudice in conformità al trattamento che si intende predisporre per il condannato al fine del miglior perseguimento della finalità del reinserimento sociale.
5. Le conseguenze dall’omessa fissazione giudiziale del termine di adempimento. – L’omessa fissazione del termine si traduce nell’omissione di una statuizione giudiziale obbligatoria a contenuto non predeterminato, che invero concorre a definire il trattamento rieducativo e quindi richiede l’apprezzamento di una serie di elementi non predefiniti, tra cui si annoverano senz’altro le reali condizioni economiche del condannato, quantomeno nel caso in cui l’obbligo abbia natura risarcitoria. La necessità di una valutazione di tal genere si impone al fine di verificare che il condannato possa effettivamente assolvere agli obblighi condizionanti, specie se di natura risarcitoria, ed evitare che il beneficio nasca già morto.
Deve quindi escludersi l’applicabilità della procedura di correzione dell’errore materiale, riservata alle omissioni di una statuizione giudiziale obbligatoria, di natura accessoria ma con contenuto predeterminato.
Piuttosto, le parti dovranno ricorrere agli ordinari mezzi di impugnazione per chiedere la riforma della sentenza che abbia omesso di statuire sul termine di adempimento.
In tal modo, il giudice d’appello potrà fissare detto termine e potrà farlo anche d’ufficio, in caso di mancata impugnazione della sentenza sul punto, senza che ciò si traduca nella violazione del divieto della reformatio in peius, essendo il termine elemento necessario ed ineliminabile del beneficio, concepito anche a vantaggio del condannato.
Laddove la sentenza sia divenuta irrevocabile senza che l’omissione sia stata riparata, spetterà al giudice dell’esecuzione provvedere alla fissazione del termine, su richiesta delle parti e anche a prescindere dalla presentazione di una domanda di revoca della sospensione condizionale della pena.
Qualora nemmeno il giudice dell’esecuzione sia investito della questione, il termine coincide con quello di cui all’art. 163 c.p., in ragione della lettura combinata delle norme di cui agli artt. 167 e 168 c.p. Se alla scadenza dei termini di cui all’art. 163 c.p. il condannato non ha adempiuto agli obblighi condizionanti, la sospensione della pena dovrà comunque essere revocata.
6. Riflessioni conclusive. Con la sentenza in commento le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si esprimono su un contrasto interpretativo risalente nel tempo e relativo alle conseguenze della mancata fissazione giudiziale del termine di cui all’art. 165 c.p., così confermando, anzitutto, che nessuna nullità è prevista in tali casi e che l’obbligo di fissazione giudiziale si traduce in un obbligo privo di sanzione[12].
La soluzione adottata dalla Corte muove dal rilievo dell’autosufficienza della disciplina penalistica e risponde al principio del favor rei, posto che esclude che il termine per adempiere possa coincidere con quello del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, che rappresenta invece soltanto il dies a quo. Rigettato, quindi, il primo orientamento interpretativo, le Sezioni Unite aderiscono al secondo soltanto in via residuale, ammettendo che il termine per l’adempimento possa coincidere con quello di cui all’art. 163 c.p. unicamente nei casi in cui né il giudice della cognizione né il giudice dell’esecuzione abbiano provveduto alla sua fissazione, considerato che, scaduto il termine di cui all’art. 163 c.p. senza che siano stati adempiuti gli obblighi condizionanti, dovrebbe comunque farsi luogo alla revoca del beneficio.
Un aspetto interessante della pronuncia in commento è offerto dalle affermazioni di principio che la Corte compie rispetto alla funzione del termine giudiziale di cui all’art. 165 c.p., definito come un termine che partecipa della finalità special-preventiva che la norma chiede essere perseguita nel caso concreto e che, invece, risulta sempre più attenuata nella prassi, ove si è maggiormente diffuso il modello di sospensione condizionale “secca”.
Se deve tendenzialmente escludersi la rispondenza della sospensione condizionale “secca” alle diverse funzioni della pena (prevenzione generale e speciale), alcuni rilievi critici possono invero essere mossi anche nei riguardi della sospensione condizionale c.d. “con prova”, specie relativamente ai casi di subordinazione obbligatoria che conseguono automaticamente all’affermazione di responsabilità per un determinato titolo di reato.
La valorizzazione del termine come elemento modulabile al fine del miglior perseguimento delle esigenze special-preventive in funzione della risocializzazione del condannato risponde pienamente al principio dell’individualizzazione della risposta sanzionatoria ed impone al contempo una riflessione sulla reale portata probatoria del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Con la sentenza in commento si ribadisce quanto già espresso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 49 del 1975, ovverosia che scopo precipuo dell’istituto della sospensione condizionale della pena è quello di garantire che il comportamento del reo si adegui ad un percorso di ravvedimento.
Quest’affermazione di principio, unitamente alla rinnovata sensibilità espressa dalla Riforma Cartabia in materia di alternative alla detenzione, conduce a chiedersi se non sia giunto il tempo di provvedere alla valorizzazione dell’istituto della sospensione condizionale, tramite il ridimensionamento dell’area di operatività della sospensione “secca” e la contestuale ridefinizione dei connotati della sospensione “con prova”[13].
La sospensione condizionale “secca” andrebbe a ben vedere riservata ai casi in cui non siano ravvisabili bisogni risocializzativi, mentre la rivisitazione della sospensione condizionale “con prova” dovrebbe passare dal rafforzamento dei suoi contenuti e dall’assegnazione al giudice di una maggiore discrezionalità nella definizione del programma prescrizionale ma anche nella fase della revoca[14].
Si tratta di un processo che, nel quadro della Riforma Cartabia, ha già trovato spazio in relazione alle pene sostitutive di cui al nuovo art. 20 bis c.p. e che ben potrebbe essere riservato anche alla sospensione condizionale della pena, posto che la stessa continuerà ad essere applicabile e che le nuove pene sostitutive potranno trovare applicazione a condizione che il giudice non abbia ordinato la sospensione condizionale della pena[15]. Da un lato, ciò consentirebbe di recuperare la mancata inclusione dell’affidamento in prova tra le nuove pene sostitutive e di valorizzare la portata di misura di comunità della sospensione condizionale “con prova”, dall’altro, riservando la sospensione condizionale “secca” ai casi in cui non siano ravvisabili bisogni risocializzativi, tale scelta si tradurrebbe nella cristallizzazione di un’area in cui non si assiste ad un’impropria rinuncia alla risposta punitiva, bensì si realizza un consapevole arretramento dell’interesse pubblico alla punizione.
[1] In tal senso si esprimono ex multis Cass. pen., Sez. I, n. 47862/2017, Cass. pen., Sez. V, n. 36154/2018, nonché Cass. pen., Sez. I, nn. 10867/2020 e 6368/2020, muovendo dalla considerazione secondo cui l’adempimento degli obblighi risarcitori condizionanti consista nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria immediatamente esigibile. Diversi gli orientamenti espressi da Cass. pen., Sez. III, nn. 10581/2013 e 22658/2016, ove i giudici di legittimità avevano sostenuto che il termine di adempimento dovesse considerarsi scaduto decorsi novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, cfr. sul punto M. Sbezzi, Sospensione condizionale subordinata a obblighi risarcitori: la Cassazione fa chiarezza sul termine per adempiere, nota a Cass. pen., Sez. I, sentenza 16 gennaio 2020 (dep. 30 marzo 2020), n. 10867, in Il Penalista, 21 maggio 2020. A commento della sentenza n. 6368/2020 si veda, invece, A. Corbo, Questioni controverse nella giurisprudenza di legittimità, in Cassazione penale, 2020, 4, pp. 1424-1426.
[2] Si vedano ex multis Cass. pen., Sez. I, nn. 42109/2013 e 24642/2015, nonché Cass. pen., Sez. V, n. 9855/2018, ove diversamente si afferma che l’adempimento è esatto purché intervenga nel tempo di sospensione della pena.
[3] Sul punto si richiama anche M. Sbezzi, Sospensione condizionale subordinata a obblighi risarcitori: la Cassazione fa chiarezza sul termine per adempiere, op. cit., ove si ripercorre brevemente il percorso evolutivo dell’istituto de qua. Gli interventi normativi succedutisi possono così riassumersi: l. n. 689/1981 (introduzione della previsione relativa all’eliminazione delle conseguenze dannose e pericolose del reato; vincolo per il giudice a subordinare la concessione della sospensione ad almeno un adempimento, purché non inesigibile); l. n. 145/2004 (non più inesigibilità, ma in caso di condizioni economiche precarie, possibilità di prestare attività non retribuita in favore della collettività); l. n. 69/2015 (obbligo di condizioni in caso di sospensione pronunciata a favore di pubblici ufficiali, condannati per reati contro la p.a.; in particolare, necessario il pagamento di “una somma equivalente al profitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito”); l. n. 3/2019, c.d. “spazzacorrotti” (per i pubblici ufficiali, l’adempimento imposto deve corrispondere al “prezzo o profitto del reato”). Si aggiungono le modifiche intervenute ad opera della legge n. 36/2019, modificativa del regime della legittima difesa, e della legge n. 69/2019, recante disposizioni a tutela delle vittime di violenza domestica o di genere.
[4] G. Fiandaca, Art. 27 3° comma, in G. Branca (fondato da), A. Pizzorusso, Commentario della Costituzione. Rapporti civili. Art. 27 – 28, Bologna, Zanichelli Editore, 1991, p. 298.
[5] C. Perini, Prospettive attuali dell’alternativa al carcere tra emergenza e rieducazione, in Diritto penale contemporaneo – Riv. Trim., 4/2017, p. 78.
[6] F. Palazzo, R. Bartoli, Certezza o flessibilità della pena? Verso la riforma della sospensione condizionale, Torino, Giappichelli, 2007, p. 5.
[7] Si riporta di seguito la formulazione attualmente vigente dell’art. 165, co. 1, c.p. recante la disciplina degli obblighi cui può essere sottoposto il condannato: «La sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull’ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; può altresì essere subordinata, salvo che la legge disponga altrimenti, all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna».
[8] Si vedano G. Fiandaca, Art. 27 3° comma, in G. Branca (fondato da), A. Pizzorusso, Commentario della Costituzione. Rapporti civili. Art. 27 – 28, op. cit., p. 299, D. Pulitanò, La sospensione condizionale della pena: problemi e prospettive, in A.A.V.V., Sistema sanzionatorio: effettività e certezza della pena. Atti del Convegno di studio svoltosi a Casarano-Gallipoli, 27-29 ottobre 2000, Milano, Giuffrè, 2002, pp. 129 ss., M. Sbezzi, Sospensione condizionale subordinata a obblighi risarcitori: la Cassazione fa chiarezza sul termine per adempiere, op. cit., ove l’A. sottolinea come la sospensione condizionale «da abituale abito delle sentenze di condanna a pene contenute nei limiti di legge», stia sempre più rivestendosi di una funzione special-preventiva e rieducativa. Si veda pure A. Esposito, La sospensione condizionale della pena tra passato e presente, in M. Del Tufo (a cura di), La legge anticorruzione 9 gennaio 2019, n. 3, Giappichelli, Torino, 2019, pp. 43 ss.
[9] A. Della Bella, E. Dolcini, Per un riordino delle misure sospensivo-probatorie nell’ordinamento italiano, in A. Della Bella, E. Dolcini, Le misure sospensivo-probatorie. Itinerari verso una riforma, Milano, Giuffrè, 2020, pp. 335 ss., in particolare pp. 338 ss.
[10] Si vedano in tal senso F. Giunta, L’effettività della pena nell’epoca del dissolvimento del sistema sanzionatorio, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1998, 2, p. 416; T. Padovani, Sospensione e sostituzione nella prospettiva d’un nuovo sistema sanzionatorio, ivi, 1985, 4, pp. 983 ss.; Id., Sanzioni sostitutive e sospensione condizionale della pena, ivi, 1982, 2, pp. 494 ss.
[11] L’esigenza di razionalizzare i rapporti tra sospensione condizionale e sanzioni sostitutive è da tempo affermata, cfr. ex multis F. Palazzo, Le pene sostitutive: nuove sanzioni autonome o benefici con contenuto sanzionatorio?, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1983, 3, pp. 834 ss., E. Dolcini, Ancora una riforma della sospensione condizionale della pena?, ivi, 1985, 4, pp. 1012 ss.; E. Dolcini, C.E. Paliero, Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell’esperienza europea, Milano, Giuffrè, 1989, p. 275 ss.; E. Dolcini, Principi costituzionali e diritto penale alle soglie del nuovo millennio, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1999, 1, p. 23; T. Padovani, Fuga dal carcere e ritorno alla sanzione. La questione delle pene sostitutive tra efficacia della sanzione ed efficienza dei meccanismi processuali, in A.A.V.V., Sistema sanzionatorio: effettività e certezza della pena, op. cit., pp. 73 ss. ove l’A. lamenta pure che l’esito italiano del ricorso alle misure sospensive e sostitutive ha finito con il determinare un’impropria rinuncia alla risposta punitiva, essendosi risolta in una abdicazione della pretesa punitiva in ragione della scarsa effettività ed efficacia di tali strumenti alternativi.
[12] M. Sbezzi, Sospensione condizionale subordinata a obblighi risarcitori: la Cassazione fa chiarezza sul termine per adempiere, op. cit.
[13] Analoghe istanze sono state espresse in tempi recenti dal Gruppo di ricerca sulle misure sospensivo-probatorie coordinato dal Prof. E. Dolcini, i cui risultati sono raccolti nel volume A. Della Bella, E. Dolcini, Le misure sospensivo-probatorie. Itinerari verso una riforma, op. cit., cfr. sul punto M. Donini, Le misure sospensivo-probatorie in fase decisoria, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2022, 1, pp. 235 ss.
[14] M. Donini, Le misure sospensivo-probatorie in fase decisoria, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, op. cit., p. 240.
[15] Art. 58, l. n. 689/1981.