Cassazione penale sez. VI, 27/04/2022, n.21632
L’accertamento del dolo nel reato di calunnia si attua mediante un processo logico deduttivo che, partendo dalle modalità esecutive dell’azione, risale alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto
In tema di calunnia, l’elemento soggettivo, che deve estendersi alla consapevolezza di esporre al rischio di un procedimento penale l’accusato che si sa innocente, è evidenziato dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive che definiscono l’azione criminosa, dalle quali, con processo logico deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto ai fini dell’accertamento del dolo.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Lecce, ha assolto T.G. dal reato di calunnia, limitatamente all’episodio del (OMISSIS) perché il fatto non sussiste, confermandone la condanna alla pena di anni due di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale, per gli altri episodi ascritti.
2. Propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia di T.G., avv. Giovanni Ladisi, articolando quattro motivi di ricorso.
2.1 Con il primo motivo deduce i vizi di violazione di legge, di mancanza della motivazione in merito alla applicabilità dell’art. 49 c.p., ed alla configurabilità del reato in relazione all’episodio del (OMISSIS), nonché di contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, da un lato, ha escluso la sussistenza del reato con riferimento allo scritto del (OMISSIS) e, dall’altro, ne ha ravvisato la sussistenza con riferimento agli altri scritti, pur essendo questi tra loro sovrapponibili in quanto relativi al medesimo fatto storico e rappresentanti identiche doglianze. La Corte territoriale ha omesso, inoltre, di valutare il fine perseguito dall’imputato (la valutazione della condotta del D.C.) ed il movente della sua condotta (l’avere subito un’ingiustizia) ed avrebbe dovuto, sulla base della connotazione di tale condotta, escluderne l’inidoneità, ravvisando un reato impossibile.
2.2 Con il secondo motivo deduce vizi cumulativi di violazione dell’art. 43 c.p. e di motivazione con riferimento all’elemento psicologico del reato avendo il T. agito nell’intima convinzione di avere subito un torto a nulla rilevando la sua qualifica professionale di dottore commercialista.
2.3 Con il terzo motivo deduce il vizio di violazione dell’art. 81 c.p., in relazione all’omessa rideterminazione del trattamento sanzionatorio a seguito dell’assoluzione dal reato commesso il (OMISSIS) non essendo rilevante, in difetto di impugnazione del Pubblico ministero, che il Giudice di primo grado abbia omesso di applicare l’aumento a titolo di continuazione.
2.4 Con il quarto motivo deduce i vizi cumulativi di violazione di legge e di motivazione in merito alla omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche, non avendo i Giudici di merito considerato le dichiarazioni di rinuncia alle azioni giudiziali sottoscritte dalla persona offesa.
DirittoCONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile in quanto fondato su motivi, in parte, non consentiti e, in parte, generici e manifestamente infondati.
2. Ciò premesso, i primi due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro logicamente connessi, sono inammissibili perché generici, meramente reiterativi dei medesimi motivi di appello e volti a sollecitare una diversa lettura delle risultanze processuali, estranea al perimetro del giudizio di legittimità.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la calunnia è un reato di pericolo che si realizza con una condotta tale da creare il concreto rischio di inizio di un’indagine, sia che venga realizzata con una falsa denunzia che con la simulazione di tracce del reato. Non e’, quindi, necessario che vi sia l’effettivo avvio di un’indagine ma, laddove ciò non avvenga, occorre valutare se, nel caso concreto, la condotta fosse del tutto inidonea a creare il rischio di inizio di un procedimento penale come, ad esempio, allorché la falsa accusa abbia ad oggetto fatti manifestamente e a prima vista inverosimili o incredibili per le circostanze in cui è effettuata, per i modi in cui è espressa e per l’assoluta inattendibilità del suo contenuto, sì che l’accertamento della sua infondatezza non abbisogni di alcuna indagine. In tali casi l’azione si rivela sostanzialmente priva dell’attitudine a ledere gli interessi protetti, a norma dell’art. 49 c.p. (Sez. 6, n. 26177 del 17/03/2009, Vassura, Rv. 244357).
Ai fini della configurabilità del reato di calunnia non e’, dunque, necessario l’inizio di un procedimento penale a carico del calunniato, occorrendo soltanto che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di una persona univocamente e agevolmente individuabile; cosicché soltanto nel caso di addebito che non rivesta i caratteri della serietà, ma si compendi in circostanze assurde, inverosimili o grottesche, tali da non poter ragionevolmente adombrare – perché in contrasto con i più elementari principi della logica e del buon senso – la concreta ipotizzabilità del reato denunciato, è da ritenere insussistente l’elemento materiale del delitto di calunnia (Sez. 2, n. 14761 del 19/12/2017, dep. 2018, Lusi, Rv. 272754; Sez. 6, n. 10282 del 22/01/2014, Romeo, Rv. 259268).
2.1 La sentenza impugnata ha fatto buon governo di tali coordinate ermeneutiche e, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha chiarito la portata calunniosa degli esposti e della querela presentati dall’imputato in cui lo stesso ipotizzava diverse condotte criminose di cui si sarebbe reso responsabile il D.C., anche in concorso con il Giudice P., quali ad esempio, le false dichiarazioni a verbale rese con il “beneplacito del magistrato Pasculli”, l’abuso d’ufficio di quest’ultimo, ovvero le condotte di estorsione, atti persecutori e truffa di cui si sarebbe reso responsabile il D.C..
Esclusa, inoltre, l’inverosimiglianza o il carattere grottesco o assurdo del contenuto delle accuse, in quanto formulate in termini dettagliati e con richiami alla giurisprudenza di legittimità, la sentenza impugnata, con motivazione parimenti adeguata ed immune da vizi ha posto l’accento sulle competenze tecniche del ricorrente e sul contenuto delle accuse per ritenere sussistente la consapevolezza del T. della loro falsità e dell’innocenza della persona offesa.
Così facendo, ha fatto buon governo del principio di diritto già affermato da questa Corte, dal Collegio pienamente condiviso e ribadito, secondo cui in tema di calunnia, l’elemento soggettivo, che deve estendersi alla consapevolezza di esporre al rischio di un procedimento penale l’accusato che si sa innocente, è evidenziato dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive che definiscono l’azione criminosa, dalle quali, con processo logico deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto ai fini dell’accertamento del dolo (Sez. 6, n. 21204 del 03/04/2013, Cristofami, Rv. 255670).
E’ stato, infatti, chiarito che la consapevolezza del denunciante in merito all’innocenza dell’accusato è esclusa nel caso non ricorrente nella fattispecie in esame di cui la supposta illiceità del fatto denunziato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi e seri tali da ingenerare dubbi condivisibili da parte di una persona, di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza (Sez. 6, n. 12209 del 18/02/2020, Abbondanza, Rv. 278753).
2.2 In considerazione della pluralità di denunce presentate in tempi diversi e presso diverse Autorità, nonché del loro contenuto, è stata, inoltre, legittimamente ravvisata una pluralità di reati. Va, al riguardo, ribadito, che la proposizione di plurime denunce contenenti false accuse depositate presso più autorità ed in luoghi distinti dà luogo ad una pluralità di reati, dovendosi escludere l’identità del fatto nel caso in cui la reiterazione della condotta avvenga con modalità spazio-temporali diverse (Sez. 6, n. 13416 del 08/03/2016, Pasquinelli, Rv. 267269).
2.3 Va, inoltre, aggiunto che, quanto allo scritto del 19 settembre, non sussiste un interesse concreto del ricorrente a dolersi della sua omessa valutazione posto che, pur essendo stata riconosciuta la continuazione tra i diversi episodi di calunnia, in concreto è stata applicata solo la pena base nel minimo edittale previsto dall’art. 368 c.p., cosicché, in caso di accoglimento della doglianza, potrebbero conseguire effetti in malam partem per il ricorrente con l’eventuale applicazione dell’aumento ai sensi dell’art. 81 c.p. per tale episodio criminoso.
3. Il terzo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato. La Corte territoriale ha, infatti, correttamente giustificato la mancata riduzione del trattamento sanzionatorio in considerazione del fatto che il Giudice di primo grado aveva calcolato la sola pena base per il reato di calunnia, nel minimo edittale, senza operare alcun aumento a titolo di continuazione.
4. Anche il quarto motivo non supera il vaglio di ammissibilità in quanto aspecifico e privo di adeguato confronto con le argomentazioni della sentenza impugnata che ha escluso la sussistenza di elementi di segno positivo, ponendo, di contro, l’accento sull’assenza di alcuna forma di resipiscenza da parte del ricorrente.
Va, al riguardo, ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis c.p., disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986).
Le circostanze attenuanti generiche hanno, infatti, lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere del reo, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (cfr. Sez. 2, n. 9299 del 07/11/2018, dep. 2019, Villani, Rv. 275640).
5. L’inammissibilità dei motivi di ricorso, non consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude la possibilità di rilevare e dichiarare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266).
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, il ricorrente va condannato al pagamento della somma di Euro tremila da versare in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186 del 2000).
PQMP.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2022.
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2022